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De Silvestro: “Salerno è stata la scelta migliore della mia vita”

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I ricordi del giovane attaccante padovano che fece infiammare i cuori dei tifosi granata: Massimiliano De Silvestro si confessa

Mettetevi comodi,  tifosi del calcio romantico di una volta, ed emozionatevi nel leggere i ricordi indelebili e vivi, neanche fosse passato solo qualche mese, che Salerno ha lasciato nel cuore e nella mente di Massimiliano De Silvestro. Il giovanissimo attaccante padovano che arrivò in granata nel 1992, quando alla guida vi era mister Sonzogni ma che esplose, calcisticamente, nella formazione allenata da mister Rossi. Negli occhi di noi tutti sono ancora vivi i suoi perfetti cross per i compagni del reparto avanzato. Tutti noi ancora sogniamo il suo magico sinistro che su azione o punizione insaccava le reti avversarie facendo tremare ed esplodere il tifo all’Arechi. Noi di SalernoSport24 lo abbiamo contattato e quella che doveva essere una intervista, semplice, diretta, si è trasformata in un “diario dei ricordi”.

Ciao Max, ti dico solo Salerno…

“Giocare in una piazza così importante era emozionante allora come penso lo sia oggi. Arrivai a Salerno giovanissimo, ero ad inizio carriera, sentivo addosso la responsabilità verso il pubblico perché loro ci facevano sentire importanti, come fossimo calciatori della massima serie, e quindi dovevamo e dovevo dare il massimo per restituire ciò che loro davano a noi. Pensa che Salerno non la conoscevo, facevo il militare a Napoli, vicino, ma non ero mai stato qualche km più giù ed essendo solo un ragazzino del nord avevo anche un po’ paura di scegliere quella piazza e quella città. Mi confrontai con Daniele Pasa e lui mi convinse che quella era la scelta giusta per me.  Fu davvero la scelta migliore della mia vita: mi trovai a vivere in una città fantastica, altro che Riccione, altro che il Veneto. Rimasi stupito in maniera positiva di Salerno, delle sue bellezze, del calore della gente e del loro amore verso la squadra della città. Una grande esperienza di vita personale oltre che sportiva. Pensa che mia zia è stata in città poco tempo fa e mi ha detto che, oltre ad esser stata trattata da regina, ancora si ricordano con affetto di me. Tutto questo a distanza di anni ancora mi emoziona”.

Quella favola però non era tutta scritta di frasi belle e positive. Tu ed i tuoi compagni di quegli anni avete anche subito molto lo stress dato da una tifoseria esigente come era ed è quella granata.

“Quando sono arrivato era l’epoca di Casillo. Dopo la serie B del ’90 la gente non aveva molte aspettative però seguiva sempre con affetto noi e sperava in qualcosa di migliore. C’era comunque sintonia fra tutti. Poi arrivò Aliberti, Rossi e tanti giovani calciatori e si iniziò con una brutta contestazione ma poi il campo dimostrò a tutti che eravamo lì per andare tutti verso la stessa direzione. Personalmente certo è stato difficile, non ho vissuto i miei venti anni. Bastava una semplice birra con gli amici in un pub e dieci minuti di ritardo per scatenare i tifosi. Pensa che ero in vacanza ad Ibiza con Vladimiro Caramel e anche là incontrammo dei tifosi e noi eravamo “terrorizzati” anche della birra in più perché non volevamo che loro pensassero che fossimo irrispettosi, per quanto in vacanza almeno ci si poteva svagare. Però quella pressione che sentivamo e sentivo è servita per crescere e per capire che rispettando ognuno i propri ruoli si poteva arrivare, insieme, lontano. Ci sono stati momenti che se anche sbagliavi una partita i tifosi venivano a bussarti a casa alle tre di notte per avere chiarimenti. Io seppur giovane non mi sono mai tirato indietro, ci mettevo la faccia. Da persone civili bastava comunque parlarsi per chiarirsi e trovare un punto comune per andare avanti. Personalmente, dopo la notte che il gruppo ultrà venne a chiedermi chiarimenti, ho capito maggiormente quello che da noi voleva la piazza: rispetto e gente che in campo scendeva per la maglia. Da allora ho capito che non era il gol, non era la giocata perfetta che  volevano vedere, ma uomini che mettessero in campo lo stesso amore loro per quei colori. Sapevano davvero come caricarci. Già dagli spogliatoio noi sentivamo il pubblico sugli spalti che cantava, che acclamava, e che era pronto a correre con noi. Era fantastico, emozionante e ci dava, tutto ciò, una carica enorme”.

Dalla contestazione alla promozione…

“Un anno fantastico per tutti. Uno stadio intero ed una città intera che sognava con noi e che fino al San Paolo ci spinse alla vittoria. Dopo la partita eravamo rimasti a Napoli per la cena di squadra ma arrivò una telefonata che ci avvisava che i tifosi ci aspettavano all’Arechi. Non ci abbiamo pensato su neanche un secondo, niente cena. Dovevamo correre dai nostri tifosi: lo stomaco ed il cuore ce lo riempirono loro quella sera. I tifosi granata riescono a trasmette ai giocatori lo stesso amore che sentono loro. Pensa che eravamo in serie B e per cambiarci per andare a fare allenamento usavamo i capannoni dell’ideal Standard. A nessuno pesava però, perché non vedevamo l’ora di indossare maglia e calzoncini e scendere in campo per loro. Oggi questo purtroppo non lo vedo più e a me che amo Salerno e la Salernitana fa male. Fa male vedere quello stadio vuoto, il distacco che c’è fra squadra ed ambiente. Certo ora il calcio è diverso, diventata industria. Io da tifoso darei fiducia a questa società. La stabilità oramai la hanno in pochi e averla a Salerno è già un grande punto di partenza. Da tifoso ed innamorato io mi impegnerei ad essere il tredicesimo uomo in campo, come solo Salerno sa fare. Neanche uno in più, ma due, anche tre…  quando lo stadio è pieno vi assicuro che chi è in campo lo sente, si carica ed è voglioso di fare sempre di più”.

Dopo Rossi arriva mister Colomba. Una stagione e mezza di alti e bassi per la Salernitana ed anche per te

“Due allenatori totalmente diversi. Noi eravamo abituati a giocare con il 4-3-3 ed infatti iniziando in quel modo andavamo bene ed ottenevamo risultati. Poi il mister da dicembre in poi iniziò a provare il suo modulo e dal primo posto iniziammo a perdere posizioni. Fu allora che accadde l’episodio che ti dicevo prima, quello dei tifosi che vennero a bussare a casa dei giocatori. Purtroppo però, anche tornando a giocare come sapevamo, alla fine non riuscimmo a regalare l’ennesimo sogno ai tifosi. Personalmente con Colomba passai un brutto periodo. Mi faceva giocare come seconda punta e non mi trovavo a mio agio, per non parlare del fatto che mi faceva giocare solo in Coppa Anglo-Italiana, dove arrivammo in semifinale con il Genoa perdendo ai rigori. Tornammo negli spogliatoi tutti incavolati, da Colomba a Pirri. Io ero furioso perché il mister mi aveva tenuto fuori per far giocare Ferrante ed ebbi anche uno scontro verbale con lui. Quell’episodio però servì ad entrambi per capirsi ancor più, per creare un legame di rispetto maggiore e andare avanti insieme nel migliore dei modi. Da persone intelligenti credo così bisogna fare. Ricordo ancora le sue lacrime quando poi, durante una amichevole, mi infortunai pesantemente. La sua reazione mi lasciò un segno indelebile, maledisse quella partita ed il fatto di avermi fatto giocare. Ma io sono sempre stato il primo a voler scendere in campo anche nelle amichevoli. Quelle sgambature servivano a giocare meglio la domenica. Dopo quell’infortunio e la non riconferma a Salerno la delusione prese il sopravvento. Volevo ancora dare il meglio di me per quella maglia ma non fu possibile. Del resto all’inizio avevo scelto Salerno rifiutando altre realtà importanti anche a livello economico. Ma il fattore economico non è mai stato importante per me. Neanche a Salerno ho mai chiesto aumenti, nonostante le vittorie. Ed anche dopo l’esperienza in granata, quando passai al Savoia, avevo un contratto importante, ma dopo il primo anno, senza pensare alla questione ingaggio, decisi di andare al Brescello dove ritrovai la voglia e la passione”.

Dopo aver appeso le scarpette al chiodo hai intrapreso, come tanti ex calciatori, la carriera di allenatore. Come mai la scelta di dedicarti ai giovani?

“Ho scelto di allenare i giovani proprio grazie all’esperienza che io ho avuto con Rossi. Lui all’epoca seppe darmi degli input importanti per crescere. Mi fece capire che il calcio non è solo tecnica e corsa e ciò che ho imparato io all’epoca cerco di insegnarlo ai miei ragazzi. Per fortuna faccio parte di una società seria, importante che a breve dovrebbe affiliarsi con l’Inter. Inoltre abbiamo anche aperto al calcio femminile proprio per avvicinare anche le ragazze sempre più a questo sport. In passato ed anche attualmente ho avuto proposte diverse ma ho scelto questa esperienza perché mi fa stare bene e soprattutto mi appaga vedere i ragazzi crescere. Mi appaga il mio lavoro, non la possibilità di guadagnare di più nel calcio professionistico. Del resto, come già ti ho accennato, non mi è mai interessato quel lato del calcio. Per me è passione, è essere amato dal pubblico per quello che dai in campo. Il lato umano è sempre stato il perno del mio essere calciatore ed è questo che amo insegnare”.

Cosa speri per il futuro della Salernitana?

“Io mi auguro, come ti dicevo prima, di tornare a vedere quello stadio pieno. Salerno è una piazza che anche in massima serie può essere fra le prime per numero di spettatori. Anche se il calcio non è più romantico come una volta a Salerno basta poco per infiammarsi e tornare uniti. Dico ai tifosi di continuare a credere nel progetto della società perché Lotito è uno che sa il fatto suo e si è visto con la Lazio, con Inzagli etc. Salerno può tornare a sognare ed io da tifosissimo granata sogno con voi. Nel frattempo saluto il popolo granata e gli amici di SalernoSport24 e sempre…forza Salernitana”.

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