In occasione del match di campionato tra Salernitana e Bologna, è intervenuto ai nostri microfoni il doppio ex Davide Bombardini. Ecco le sue dichiarazioni.
Davide Bombardini: “A Salerno per tornare protagonista”
Davide Bombardini, faentino di nascita, ha mosso i primi passi da calciatore tra i dilettanti dell’Imola, per poi essere acquistato, nel 1993, dal Pisa. Dopo alcune stagioni nelle quali alterna buone prestazioni nelle divisioni inferiori a difficoltà di adattamento alla Serie B, riesce ad imporsi definitivamente in cadetteria. L’ottima annata palermitana del 2001-2002 (8 reti in 35 presenze), infatti, gli vale la chiamata della Roma, che gli permette di esordire in Serie A. Dopo 13 presenze in giallorosso, lascia la capitale per accasarsi a Salerno, dove gioca le due travagliate stagioni di Serie B del 2003-2004 e 2004-2005.
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Al fallimento della società granata, da svincolato, si accorda con l’Atalanta (52 presenze e 3 gol tra A, B e Coppa Italia). Due anni (ed una promozione in A) dopo, torna in Serie B, a Bologna, aiutando la squadra della quale era tifoso da ragazzo a risalire in massima categoria. Torna nel bergamasco nel gennaio del 2010, ma non tra le fila dei nerazzurri: firma un contratto con l’Albinoleffe, ritirandosi al termine di quest’esperienza. Tuttavia, nel 2012, è per una presunta combine relativa al suo periodo leffese che viene deferito dal Procuratore Federale Palazzi. La squalifica, alla fine, sarà di sei mesi (per omessa denuncia), a fronte dei tre anni e mezzo richiesti inizialmente (per illecito sportivo).
Cosa la portò a scendere di categoria scegliendo Salerno nell’estate del 2003?
«Avevo voglia di tornare a giocare, di essere protagonista: quando mi si è presentata l’occasione di andare a Salerno non ho esitato. Avevo capito che fosse una piazza calda come piace a me, che poteva dare tanto ad un giocatore che aveva bisogno di rilanciarsi. Avevo bisogno di vedere lo stadio pieno di gente che canta dal primo all’ultimo minuto. Poi Aliberti mi ha cercato con molta insistenza. Venivano da un ripescaggio e volevano tornare in carreggiata».
Le due trascorse alla Salernitana furono stagioni difficili. Ci vuole raccontare che aria si respirava all’interno dello spogliatoio?
«Quando si è capito che la Salernitana forse non si sarebbe iscritta al campionato io ero infortunato, tornavo dal Belgio, dove mi ero operato al ginocchio. Quindi ero doppiamente giù, per la situazione della squadra e per il recupero, che era difficoltoso. Ero sempre in contatto con il presidente, che mi rassicurava, dicendo che ci saremmo iscritti. Invece, dall’altra parte, il direttore Imborgia era molto preoccupato. Insomma, non era facile. Mi è dispiaciuto molto, sia per il presidente che per la piazza. Certo, io andai all’Atalanta e vinsi il campionato, ma comunque mi dispiacque molto perché stavo bene a Salerno. Poi in situazioni del genere ti fai mille domande…».
È d’accordo con l’allora presidente Aliberti nel ritenere che quella Salernitana, fallita nel 2005, sia stata “vittima di un abuso”?
«Io penso di sì. Oggi (come allora) ci sono tante società che hanno debiti su debiti e vengono salvate. La Lazio, per esempio, fu salvata con una mega-rateizzazione. Ma certamente non devo spiegare io come funziona il calcio. All’epoca si voleva dare uno scossone e alcune società hanno pagato perché probabilmente erano quelle che davano meno fastidio. Far fallire una Lazio, a Roma, sarebbe stato molto più complesso. Ad ogni modo, se avessero voluto avrebbero potuto tener su la Salernitana».
Crede che la Salernitana di quest’anno possa salvarsi nonostante la pessima partenza?
«Ma io penso che si possa salvare; è lì eh. Non è solo questione di punti, ma si tratta di crederci e lavorare. La Salernitana non ha niente di meno rispetto alle altre cinque o sei che lottano per la salvezza. Poi confido in un mercato di gennaio in cui il presidente possa rinforzare la squadra e tirarla su. Non vedo ancora una situazione drammatica: c’è tutto il tempo e c’è ancora la fiducia per potersi salvare».
Qual è il primo ricordo che le viene in mente ripensando ai due anni e mezzo trascorsi a Bologna?
«Il primo è sicuramente la vittoria del campionato: è stata una liberazione. Essendo originario di lì, ero andato al Bologna per vincere e, se non ce l’avessimo fatta, sarei stato male. Avendo tutti gli amici tifosi, essendo stato anch’io un ragazzo che andava in curva a 15 anni, ero molto più coinvolto. Rispetto alle altre esperienze, quando tornavo a casa dall’allenamento non staccavo mai, parlavo di calcio 24 ore al giorno con tutti. Sono stati anni pesanti, ma anche belli e importanti».
Nel corso della sua carriera ha dimostrato di sapersi adattare anche in ruoli diversi dal suo. Come si trovò a giocare da terzino quando mister Arrigoni la dirottò sulla fascia?
«Mi sono trovato bene, pur non facendo niente di eccezionale: tenevo la posizione e cercavo di fare meno danni possibili. Poi, è chiaro, il fatto che una domenica giocassi da seconda punta e la settimana successiva facessi il terzino senza sfigurare, la faceva sembrare una cosa incredibile. Non ho più visto nessuno fare un cambio ruolo così. Ho fatto anche il terzo di difesa in alcune occasioni, come quando vincemmo in casa con la Lazio».
Un pronostico per la partita di domenica?
«Oggi fare pronostici è sempre difficile. Sono due squadre in situazioni opposte, anche moralmente. Il Bologna è tranquillo, sta facendo bene; i ragazzi hanno la mente libera e c’è entusiasmo; poi hanno un grande allenatore, che fa giocare bene la squadra. Dall’altra parte c’è la Salernitana, che deve far punti per muovere la classifica. Quest’anno il Bologna è una squadra di medio-alta classifica, ma non è una gara proibitiva, anche se non è certamente facile. Il risultato non è scontato: vedremo».